Un po’ di tempo fa è stato richiesto un approfondimento sui transistor MOSFET analogo
a quello dei transistor BJT già trattato in passato.
Come nel caso del 3d sui bjt anche in quello dei mosfet la trattazione sarà più pratica che teorica, per cercare innanzi tutto di non spaventare nessuno, poi per fare in modo di utilizzare questi componenti prima che ci si stufi della teoria.
I MOSFET sono transistor dotati di 3 (o più raramente 4) terminali: source, drain e gate (o doppio gate nel caso dei modelli a 4 terminali) e possono essere a canale N (i più diffusi) o a canale P.
I canale N richiedono una tensione gate-source positiva (gate + e source -) e il drain è a una tensione più positiva del source.
I canale P richiedono invece una tensione gate-source negativa (gate - e source +) e il drain è a una tensione più negativa del source.
Il gate è il terminale di comando del mosfet: variando la tensione presente fra gate e source si modifica la corrente che scorre fra drain e source.
Al contrario dei bjt il mosfet viene pilotato in tensione; questo porta al fatto che il gate sottoposto ad una tensione fissa non assorbe corrente.
Questa caratteristica del mosfet è data dal fatto che fra il gate e il resto del componente (parte di silicio in cui sono ricavati il drain e il source), è presente uno strato isolante di ossido di silicio che isola elettricamente il gate da source e drain.
Il nome MOSFET nasce proprio da questa caratteristica (Metal Oxide Semiconductor FET ovvero FET con Metallo e ossido di semiconduttore)
Praticamente fra gate e source si viene a formare un condensatore in cui un terminale (armatura) è collegato al metallo del gate, il secondo terminale/armatura è invece collegato alla parte di silicio su cui sono presenti source e drain. Il dielettrico è invece lo strato isolante di ossido di silicio che separa le 2 armature.
In base a questi dati risulta chiaro come mai sul gate, con tensione costante, non circola corrente: come un vero e proprio condensatore il gate, inizialmente scarico, viene prima attraversato da corrente, poi, quando si è caricato, la corrente non circola più.
Se il mosfet viene invece pilotato tramite una tensione di gate impulsiva si avrà una condizione di carica->scarica->carica->ecc. del condensatore gate/source, con una conseguente corrente di gate non nulla dipendente dalla frequenza usata e dalla capacità gate-source. Il valore della corrente è legata a quella della reattanza capacitiva ovvero dalla “resistenza” introdotta dal condensatore, il cui valore è calcolabile con la formula Xc=1/(2*pigreco*f*C), dove f è la frequenza in Hz del segnale impulsivo e C il valore in Farad della capacità gate-source.
Questo fatto è importante quando si progetta un circuito che utilizza i mosfet, perchè la parte di circuito che pilota il gate deve essere sufficientemente potente da poter fornire la corrente richiesta al gate/condensatore per caricarsi o scaricarsi. Se questo circuito non è adeguatola carica/scarica sarà lenta con problemi di vario tipo che descriverò più avanti.
Altra caratteristica dei mosfet è la tensione di soglia che è sostanzialmente la tensione gate-source minima necessaria per provocare la corretta chiusura (condizioni di bassa resistenza) del mosfet. Al disotto di questo valore, espresso in volt, il mosfet resta spento oppure, peggio ancora, in una condizione intermedia (zona attiva), che lo porta ad avere una tensione drain-source dell’ordine dei volt o anche superiore e una corrente drain-source elevata.
In queste condizioni la potenza dissipata dal mosfet, data dalla formula Pd=Vds * Ids, può raggiungere anche i watt o le decine di watt, provocando un surriscaldamento del componente.
I parametri principali del mosfet sono la tensione Vds massima (massima tensione applicabile fra drain e source), Ids massima (massima corrente pilotabile fra drain e source), la Rdson (resistenza fra drain e source quando il mosfet è completamente acceso), la tensione di soglia (che nei data sheet è chiamata Gate to Threshold Voltage e che indica la tensione gate-source minima per attivare completamente il mosfet) e capacità d’ingresso (capacità fra gate e source).
I mosfet vengono normalmente usati come interruttori, anche se esistono applicazioni analogiche che li impiegano con ottimi risultati. Ecco alcuni esempi di applicazioni analogiche dei mosfet:
Amplificatori audio, in cui le caratteristiche dei mosfet, simili a quelle delle valvole, li rendono indicati per la bassa distorsione armonica.
Amplificatori RF: i mosfet sono caratterizzati spesso da elevate velocità di commutazione, anche nei modelli più comuni ed economici, quindi sono in diversi casi preferibili ai bjt in amplificatori in classe C di frequenze fino a qualche decina o centinaia di MHz.
Amplificatori per strumentazione e applicazioni medicali: grazie all’elevata impedenza (resistenza) d’ingresso dei mosfet è possibile realizzare amplificatori per segnali la cui sorgente ha impedenze d’uscita elevate (es.segnali provenienti da cuore, muscoli, cervello ecc.). Esistono anche amplificatori operazionali con ingresso a mosfet.
Fra le applicazioni on/off dei mosfet sono compresi parecchi dispositivi, come alimentatori switching, regolatori pwm per motori in corrente continua, inverter per motori in corrente alternata, convertitori AC-DC, DC-DC, DC-AC (es.gruppi di continuità per PC o inverter per impianti fotovoltaici).
Il successo così elevato dei mosfet in applicazioni di commutazione (impieghi on/off) deriva dalla bassa potenza richiesta per il pilotaggio a parità di potenza commutata, alla loro velocità e dalla bassa caduta di tensione che si viene a creare fra drain e source quando il mosfet è chiuso (fase on). Quest’ultimo parametro è dipendente dalla bassa Rdson che è dell’ordine dei decimi di ohm nei modelli più economici e dei centesimi di ohm in quelli più potenti.
Facendo un esempio numerico è possibile confrontare un bjt come il BDX53C (transistor NPN darlington) con un MOSFET IRF520.
Entrambi hanno una tensione massima di lavoro di 100V, una corrente pilotabile simile (9,2A per l’IRF520 e 8A per il BDX53C).
Dal data sheet si nota che il BDX53C con una corrente collettore-emettitore di 7A ha una caduta di tensione, fra collettore ed emettitore (VCEsat) di circa 2,8V.
L’IRF520 ha una Rdson di circa 0,27ohm indipendente, in linea teorica, dalla corrente che lo attraversa da drain a source, ma che, aumentando all’aumentare della temperatura, finisce per dipendere anch’essa dalla corrente che provoca il riscaldamento del mosfet.
Per semplificare i calcoli consideriamo comunque un mosfet abbondantemente raffreddato che pertanto risente poco dell’autoriscaldamento causato dalla corrente drain-source.
Consideriamo di pilotare un carico che assorbe 7A.
La potenza dissipata dal BDX53C sarà: Pd=VCEsat * Ic = 2,8 * 7 = 19,6W
La potenza dissipata dall’IRF520 sarà: Pd=Rdson * Id * Id = 0,27 * 7 * 7 = 13,2W
Da questo esempio si nota che il mosfet dissipa circa un 30% in meno del bjt.
Occorre inoltre notare che il mosfet dell’esempio ha una caduta di tensione ai suoi capi più bassa di quella introdotta dal bjt: Vdson = Rdson * Id = 1,9V contro i 2,8V del bjt, quindi al carico giungerà una tensione superiore nel caso del mosfet. Questo è un vantaggio in molti casi, dato che i 0,9V persi in più a causa dell’utilizzo di un bjt riduce l’efficienza del sistema.
Per ottenere delle buone prestazioni dai mosfet occorre prestare particolare attenzione al circuito che pilota il gate.
Innanzi tutto bisogna che la tensione gate-source sia sempre superiore alla minima tensione di soglia per la corrente richiesta.
L’IRF520 ad esempio può pilotare un carico di 1A con una tensione gate-source (Vgs) di 5V.
Se il carico richiede una corrente di 5A la Vgs deve essere almeno di 6V.
Cosa succede se la Vgs è inferiore a quella minima?
Succede che il mosfet non avrà più una Rds di 0,27ohm che è quella minima garantita dal costruttore, ma sarà superiore. Questa condizione di funzionamento è chiamata “zona attiva” ed è quella usata nei circuiti con mosfet operanti in modo analogico.
In queste condizioni la potenza dissipata sarà superiore rispetto a quella ideale.
Tornando all’esempio precedente e immaginando che la Rdson sia di 2,7 ohm anziché 0,27 ohm si avrebbe che il mosfet dissiperebbe la seguente potenza: Pd=Rdson * Id * Id = 2,7 * 7 * 7 = 132,3W che l’IRF520 non è in grado di dissipare finendo per guastarsi.
Il secondo parametro da rispettare è importante nelle applicazioni in cui il mosfet viene acceso/spento molte volte al secondo.
In questo caso occorre che il circuito che fornisce gli impulsi al gate sia in grado di caricare/scaricare la capacità d’ingresso del mosfet in un tempo molto rapido. Facendo riferimento alla figura contenuta in
wikipedia si avrà che il segnale sul gate, che teoricamente dovrebbe essere uguale a quello in blu, se il circuito di pilotaggio è inadeguato diventerà più o meno simile a quella in rosso.
Questa condizione porta che durante la commutazione la tensione di gate sale e scende lentamente, quindi per una parte non trascurabile dell’impulso di pilotaggio il gate riceve una tensione inferiore a quella di soglia, che lo porta a lavorare in zona attiva con una Rds superiore a quella di “mosfet on”.
E’ chiaro che tanto più frequenti saranno le commutazioni richieste al mosfet e tanto più il mosfet stesso si surriscalderà a parità di altre condizioni.
Per il momento ho terminato la mia trattazione. Sono a disposizione per eventuali domande o chiarimenti su quello che ho scritto.
Ogni suggerimento o aiuto nell’approfondimento è ovviamente ben accetto.
Edited by robo67 - 18/8/2008, 11:52